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Il San Pietro di Positano: l’impresa di una famiglia

Vito Cinque e il San Pietro di Positano - il passato ed il futuro, tutti dentro ad un sogno.

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Che cosa potresti sognare se sei già proprietario di un sogno? Con questa domanda abbiamo intervistato Vito Cinque, patron del San Pietro, perché vi raccontasse cosa l’ha spinto a volere una delle cucine migliori del mondo dentro ad uno dei migliori hotel del mondo.

Vito Cinque è, con il fratello Carlo, il proprietario di una delle stelle del turismo in Italia. Dal suo San Pietro di Positano transita il jet set mondiale e la cerchia ristretta della cultura e dell’economia a livello planetario; chi conosce ed ha la possibilità di apprezzare quanto c’è di più bello e raro nel panorama mondiale passa di qui almeno una volta nella vita.

Vito Cinque, oltre ad essere un hotelier raffinato è anche un ristoratore visionario e coraggioso: la cucina del San Pietro è stata ristrutturata nel 2016 per diventare un caso mondiali di architettura e progettazione degli ambienti professionali; uno spazio scavato nella roccia, in cui opera lo chef Alois Vanlangenaeker affiancato dalla sua brigata, progettato e realizzato da Marrone per quanto riguarda la cucina, e gestito con tecnologie d’avanguardia: basti pensare alla sterilizzazione ad ozono che giornalmente disinfetta ogni superficie, e al sistema a ciclo continuo che fa dell’autoproduzione totale e del riciclo dei rifiuti il suo cardine.

Lo abbiamo ritrovato dopo più di un anno dal completamento delle cucine che ha realizzato con Marrone per chiedergli qualcosa del suo progetto; volevamo mostrare l’uomo dietro all’imprenditore, il sogno dietro all’impresa.

Marrone: Buongiorno Vito. Del suo San Pietro, della sua cucina hanno parlato grandi testate internazionali sia generaliste che di settore. Per noi la domanda più importante resta però: perché? Che cosa ha spinto lei e suo fratello ad intraprendere un’opera di ristrutturazione che si può dire abbia fatto scuola?

Vito Cinque: Siamo imprenditori dell’accoglienza da tre generazioni. Lo siamo in uno dei posti più belli del mondo. A un certo punto ci siamo chiesti che cosa avremmo potuto fare per non limitarci a camminare dentro le orme di chi ci ha preceduto… Ci siamo risposti che il miglior modo per onorare coloro che hanno costruito tutto questo, tramandandolo a noi, era cercare di portare avanti la loro opera, rendendola se possibile più grande. Non è un tema di competizione con il passato; è un tema di responsabilità verso il passato, la tradizione, e verso il sacrificio e la generosità di chi ha costruito il nostro presente. La grandezza di chi è venuto prima di noi meritava il sogno, meritava la determinazione a costruire quella che per noi doveva essere la migliore cucina del mondo.

C’è poi un altro elemento: quasi tutti i nostri collaboratori e dipendenti sono con noi da moltissimo tempo. Questa non è una cosa rara in Italia, considerata l’importanza che diamo ai rapporti personali e a quelli familiari anche in contesti lavorativi. È una cosa che va gestita, e quando è il momento anche celebrata. Noi volevamo da un lato dare a tutti una nuova sfida, spronare il nostro gruppo di lavoro a compiere un’impresa che lasciasse un segno; dall’altro volevamo anche gratificare chi lavora con noi, costruendo un contesto che fosse il migliore anche per tutti quegli aspetti che riguardano coloro che vi operano all’interno, a partire dalle cose più immediate come la salubrità dell’ambiente, per finire a quelle meno scontate, come le sensazioni che genera lavorare in quello stesso ambiente.

Marrone: possiamo chiederle a questo punto cosa significa per lei “la migliore cucina del mondo”?

Vito Cinque: è chiaro che detta così può sembrare un’affermazione azzardata, ma noi avevamo le idee abbastanza chiare su cosa definisse la miglior cucina del mondo. Prima di tutto volevamo un ambiente sicuro; poi un ambiente efficiente; infine un ambiente bello. Ognuno di questi elementi ha una sua serie di declinazioni.

Sicuro vuol dire un posto in cui sia possibile lavorare con il massimo della produttività e il minimo dei rischi, il che significa sicuro per noi che ci lavoriamo dentro, ma significa anche sicuro per la collettività e per l’ambiente, con un controllo dei consumi energetici, delle emissioni, anche dei materiali utilizzati per la pulizia. Fa tutto parte delle nostre due idee primigenie: celebrare chi ci ha preceduto, gratificare chi è al nostro fianco. Il rispetto dell’ambiente che abbiamo ricevuto dalle generazioni precedenti è tutt’uno con il rispetto della tradizione che rappresentiamo, e si proietta nel futuro attraverso la trasmissione, a chi verrà dopo, di un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. Gratificare chi lavora con noi significa fornire loro un’ambiente operativo con aria sana, che può essere utilizzato, gestito, pulito senza mai impiegare metodi e sostanze pericolosi o in qualche modo limitativi della qualità della vita.

Un ambiente efficiente è un’ambiente che consente di operare al meglio con il minimo sforzo, e questo vale sia per le operazioni culinarie che, ad esempio, per l’impiego di energia e di risorse. Anche qui le due cose coincidono, laddove riusciamo a strutturare un sistema di lavoro a misura d’uomo e contemporaneamente a ridurre gli impatti ambientali.

Un ambiente bello è un ambiente che mette nella disposizione d’animo, nell’ordine mentale giusto. Questo vale per chi opera e per chi invece usufruisce della cucina come ospite, e le due dimensioni sono ancora quelle della gratificazione di chi lavora e della celebrazione di chi ci ha preceduto: offrendo ai nostri ospiti uno spettacolo visivo, un’opera estetica, come contorno ad un’esperienza culinaria che da sempre vogliamo impeccabile, intendevamo affermare l’unicità di questo luogo, la sua natura di generatore di momenti indimenticabili. Mettendo noi e i nostri collaboratori in questo contesto volevamo allo stesso modo inserirli ed inserirci in un ambiente dove fosse piacevole stare, dove non solo la creatività potesse fiorire, ma anche la disposizione d’animo con cui si vive il lavoro fosse quella giusta. Troppo spesso ci si dimentica che la cucina è anche arte, sperimentazione, trasformazione, e che queste cose si fanno meglio in ambienti stimolanti.

Marrone: Le andrebbe di raccontarci qualche dettaglio effettivo della cucina che avete realizzato?

Vito Cinque: Partirei proprio dall’ultimo punto che abbiamo discusso; le cucine professionali sono spesso ambienti monocromatici, emozionalmente asettici. Nella nostra invece il colore svolge un ruolo fondamentale. Abbiamo scelto maioliche vietriesi, dipinte a mano e prodotte un’azienda che vanta più di 400 anni di storia. Le linee sviluppate da Marrone plasmano lo spazio unendo forma e funzione in modo unico. Entrare nella nostra cucina è un po’ come entrare in uno stato della mente, non solo in un ambiente di lavoro. La sostanziale totalità di ciò che esiste nella cucina è realizzato in Italia, e anche qui tornano i concetti di bellezza, funzionalità, di puntare al meglio e di celebrare la tradizione.

La costruzione realizzata a piani lisci, con le functionalities a scomparsa, consente una pulizia con utilizzo sostanzialmente nullo di sostanze chimiche di origine industriale. Potrei dirle che il detergente che usiamo di più è acqua e aceto, per cui non respiriamo solventi o altri residui di lavorazione, né li sversiamo in acqua o disperdiamo in aria.
Aria e acqua sono ambiti per i quali il rispetto vale ancora una volta sia verso l’interno che verso l’esterno: un’unità di trattamento aria garantisce che chi lavora si muova sempre in un ambiente privo di fumi e scarichi, e che la reimmissione nell’ambiente sia fatta a sostanziale impatto zero. 3 punti acqua in entrata e 3 reflussi garantiscono invece cicli dell’acqua separati, che prevengono lo spreco idrico e consentono il trattamento di ciascun ciclo (acqua calda, fredda, decalcificata) in maniera adeguata.

Abbiamo costruito un contesto lavorativo in cui ogni operatore ha il suo banco, specificatamente pensato per i compiti che svolge, attrezzato alla funzione, e con ogni strumento a portata di mano; abbiamo chiesto di avere un sistema che ci consentisse flessibilità operativa e voi avete progettato per noi un sistema di mensole che possono essere regolate in altezza tramite comando elettronico: questo rende possibile lavorare senza vincoli di dimensione su ogni postazione, mantenendo contemporaneamente la massima accessibilità della strumentazione; in sostanza, abbiamo a disposizione uno spazio modulabile a seconda delle esigenze operative del momento. Per raggiungere questo risultato, invece di duplicare meccanismi e strumenti abbiamo cercato la semplificazione attraverso la centralizzazione delle funzioni comuni: pensi che la cucina ha 46 frigoriferi, ma un solo motore centrale che li alimenta, riducendo così consumi ed emissioni. Per darle un’idea, anche grazie ad un sistema di controllo del consumo, l’intero sistema riesce a funzionare con 140 kW. Sistemi analoghi di queste dimensioni ne richiederebbero almeno 790.

Marrone: che cosa c’è voluto per realizzare questa impresa?

Vito Cinque: con mio fratello Carlo abbiamo girato in lungo in largo per trovare un fornitore in grado di dare corpo alla nostra visione. Poi c’è voluto un impegno costante, in prima persona. I sogni non sono gratis, e le imprese si chiamano così perché non sono facili. Ho seguito personalmente tutto il percorso, ci sono volute 24 ore al giorno di lavoro per 5 mesi, due ingegneri, la gestione di 1600 punti di contatto elettrico ed idraulico. C’è voluta visione, capacità di affidarsi agli esperti, ma anche tanta testardaggine: non abbiamo accettato dei no che non avessero ottime giustificazioni, e sempre solo dopo aver vagliato tutte le soluzioni, anche le più improbabili.

Marrone: come si sente oggi, quando entra nella cucina del San Pietro?

Vito Cinque: come chi ha dato corpo ad una visione, che per un imprenditore di terza generazione è un po’ come dire come chi ha adempiuto al proprio destino. E questa, al di là delle parole, non è una cosa scontata né tantomeno semplice.

 

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